Jacopo Carucci detto il Pontormo (1494, Empoli-1557, Firenze)
«Fra la regola rinascimentale e la “licenza” moderna, la più possente pittura di maniera».
Il periodo attorno al 1507, anno in cui Pontormo arrivò a Firenze, rappresentò un tempo delicato per la pittura fiorentina: la partenza quasi simultanea di Leonardo, Michelangelo e Raffaello, spinse molti artisti verso gli schemi delle botteghe quattrocentesche e del classicismo.
Pontormo, appena tredicenne, ebbe modo di frequentare per pochissimo tempo la bottega di Leonardo, dove rimase impressionato dagli effetti di luce del Maestro. La sua formazione artistica è stata caratterizzata da continui cambiamenti di maestro che gli offrirono quelle suggestioni che caratterizzarono il suo personalissimo inserimento nella cultura contemporanea.
Secondo la testimonianza di Vasari, Pontormo non era soddisfatto della sua prima opera pubblica, l’Arme di Leone X, ed avrebbe voluto rifarla, segno della sua costante coscienza autocritica e della montante insofferenza verso la tecnica del suo maestro Andrea del Sarto. Già in un’opera di pochi anni dopo, la Veronica, ispirazione è il ben più prorompente modello michelangiolesco del Tondo Doni, ma ancora unito alla lezione classica.
La completa rottura con la regola rinascimentale è evidente nella Madonna e Santi; in quest’opera del 1518 è chiara l’influenza del “manierismo”. Con questo termine viene indicata una variante anticlassica, tormentata, ricca di finezze ed audacia, della cultura rinascimentale. In Pontormo la ricerca di una nuova maniera è “purificata” da un autentico tormento: anche quando l’abbandono alla maniera moderna sembrava completo, il richiamo alla regola rinascimentale rimaneva angosciosamente potente; nelle parole di Vasari «(una) licenzia, che non essendo di regola, (era) ordinata nella regola». Testimonianza di questo conflitto sono i tanti disegni di Pontormo nei quali, il fascino del naturale, la bellezza delle forme, l’ordine classico appartenenti alla regola, sono risucchiati dall’irresistibile fantasia, dalle audaci soluzioni dispositive e dalle variazioni di luce e materia.
L’immagine del post rappresenta l’opera Giuseppe in Egitto, nella quale emergono prepotenti i richiami alla nuova maniera. Una serie di episodi, rappresentati su piani diversi, raccontano il ricongiungimento di Giuseppe con la sua famiglia in Egitto; il protagonista, facilmente identificabile grazie alla sua tunica ocra, mantello violaceo e copricapo rosso, appare più volte in una narrazione continua. I colori sono ricchi e vividi con forti contrapposizioni tra luci ed ombre non più ammorbidite dal chiaroscuro sfumato. La composizione, decentrata e quasi caotica, è affollata da un brulicare di personaggi caratterizzati da volti e panneggi ispirati alle incisioni tedesche, nordico è anche l’aspetto del castello e degli alberi.
Pontormo, che pure ebbe potenti protettori come i Medici, non ebbe un apprezzamento duraturo. I commenti di Vasari, che dopo averne lodato le opere giovanili non apprezzò quelle più mature, gettarono per molti secoli un velo di disinteresse su Pontormo. L’inversione di tendenza si verificò agli inizi del Novecento quando, dopo la fioritura dell’impressionismo e delle avanguardie, vennero rivalutate le anticipazioni del linguaggio pittorico moderno liberato dalla fedele riproduzione della realtà. Di Pontormo vennero apprezzati i gesti innaturali e stilizzati, le prospettive irreali ed audaci, i drappeggi artificiosi e le espressioni pensose ed impaurite, ovvero tutto ciò che venne considerato negativo al suo tempo.
Dal mio punto di vista dalle opere di Pontormo traspare un messaggio profondo, ossia quella curiosità che porta l’uomo a liberarsi degli schemi già pronti ed a trovare nuove vie per esprimere il proprio ingegno, incurante delle perplessità che ciò poteva scatenare. In fondo, non è questa la molla che ci ha fatto progredire come specie?