Hokusai

La grande onda di Kanagawa (1830). Copie conservate in varie musei del mondo

 

Katsushika Hokusai (Edo, l’attuale Tokyo, 1760 – Edo, 1849)

«Anche se fantasma me ne andrò per diletto sui campi d’estate», Haiku (componimento poetico) scritto da Hokusai sul letto di morte

 

Nato in una famiglia estremamente povera, all’età di cinque anni venne adottato da una prestigiosa famiglia di artigiani di specchi dalla quale imparò le prime tecniche del disegno. A quindici anni, Hokusai iniziò a lavorare per un incisore e, pochi anni dopo, riuscì a diventare allievo della Scuola di Ukiyo-e (letteralmente “immagini del mondo fluttuante”) dove apprese la tecnica per realizzare stampe con una matrice incisa nel legno. All’inizio Hokusai fu noto soprattutto per i Surimono (traducibile in “cose stampate”), ovvero scene in legno accompagnate da frasi augurali. Nel corso della sua lunghissima carriera esplorò una miriade di tecniche e di stili: inizialmente legato ai dettami del maestro Shunsho, intraprese ben presto una strada del tutto personale e lontana dai canoni tradizionali.

 

Negli ultimi anni della sua vita, segnati da difficoltà e da una grave malattia, il “vecchio pazzo per la pittura” (come era soprannominato Hokusai) riuscì a produrre le opere più importanti della sua carriera, come le Trentasei vedute del Monte Fuji, serie di xilografie policrome aventi come protagonista il monte giapponese e contraddistinte dall’innovativo uso del “Bleu di Prussia” capace di donare un tono etereo.

 

Proprio da questa serie ho scelto l’immagine per il post di questa settimana, “La grande onda di Kanagawa”. In questa xilografia è rappresentato il tratto di mare in tempesta nei dintorni di Tokyo, la grande onda incarna la potenza e forza della natura che, con gli “artigli” dei riccioli di schiuma dell’acqua, sovrasta tre insignificanti barche. A controbilanciare questa furia possiamo vedere il Monte Fuji che, sullo sfondo, in un imperturbabile silenzio osserva il destino dei pescatori; la montagna con la cima innevata, nella cultura giapponese è un simbolo religioso e di bellezza.

 

La forza prorompente dell’acqua è posta sullo stesso piano della sacralità della montagna, entrambe rappresentate con i colori bleu e bianco che simboleggiano le forze elementali dell’acqua e del fuoco. La tecnica prospettica usata da Hokusai crea un forte contrasto tra lo sfondo ed il primo piano, la violenza dell’onda contrapposta alla serenità dello sfondo vuoto evoca i principi dello yin e yang con l’uomo impotente che lotta al centro.

 

La forza dell’acqua è utilizzata per mettere in risalto gli sforzi degli uomini, in bilico tra ciò che sono e quello che vorrebbero essere, ed allo stesso tempo l’instabilità dell’onda rappresenta la fiamma vitale che muove tutto, quel mutamento che fa andare avanti il mondo.

Tenendo a mente per un attimo il periodo storico nel quale quest’opera è stata prodotta, gli anni attorno al 1830, ovvero il momento in cui l’auto-isolamento del Giappone stava volgendo al termine, questa grande onda potrebbe rappresentare quella barriera creata dalla forza della natura per allontanare la cultura straniera. Dopo il 1850, quando l’arte Giapponese iniziò ad essere nota anche in Europa, la sua influenza fu dirompente; proprio grazie al mare, col suo violento ed incessante movimento, quelle opere raggiunsero il Vecchio Continente perpetuando quel mutamento ed avanzamento dell’uomo possibile solo attraverso l’incontro di culture e sensibilità diverse.

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