Tommaso di Ser Giovanni Cassai, detto il Masaccio (1401, San Giovanni Valdarno – 1428, Roma)
«Optimo imitatore di natura, di gran rilievo universale, buon compositore ed puro sanza ornato, perché solo si decte all’imitazione del vero et al rilievo delle figure».
Tommaso, fin da giovanissimo così preso dall’arte da trascurare se stesso (da qui il soprannome Masaccio), arrivò a Firenze nel 1417, periodo nel quale la città stava vivendo una rivoluzione artistica e culturale che aveva stravolto l’architettura e la scultura, grazie soprattutto alle prime opere di Brunelleschi e Donatello. Furono proprio questi i Maestri che Masaccio scelse come punti di riferimento per l’affinità artistica che condivideva. Tutto questo fermento non aveva coinvolto la pittura, ancora legata allo stile tardo gotico così apprezzato dalla committenza ecclesiastica e nobile; l’ormai consolidata tipologia di questo stile lo rendeva facilmente riproducibile da meri copisti disinteressati a qualsiasi sviluppo artistico.
Fu Masaccio a trasferire questo nuovo stile nella pittura, attingendo a Brunelleschi, Donatello e Giotto, introducendo nelle sue opere un attento uso della prospettiva e dando forte rilievo a figure modellate dalla luce, in modo da ottenere raffigurazioni prive di ornamenti ma ricche di contenuti morali. La prospettiva di Giotto, in particolare, seppure empirica, venne ripresa, rinnovata ed arricchita da Masaccio, attraverso l’uso dei contemporanei avanzamenti nel campo dell’anatomia e della tecnica del chiaroscuro; venne così scardinata la “prospettiva gerarchica”, in vigore fin dal Medioevo, secondo la quale le figure dovevano avere dimensioni maggiori o minori sulla base della loro importanza. È il trionfo della razionalità e realtà sui valori simbolici delle rappresentazioni.
«Puro senza ornato» è questa la definizione più calzante dello stile di Masaccio caratterizzato dal trattamento della figura umana, da un’ordinata e chiara definizione degli spazi, luce ed atmosfera, ovvero un nuovissimo modo di raffigurare la realtà, di restituire la natura alla sua integrità a stretto contatto con l’uomo che ne rappresenta sia il momento essenziale che l’operoso modificatore.
L’immagine che ho scelto per il post di questa settimana è l’affresco intitolato “Il Tributo”, da molti considerato icona del Rinascimento, commissionata nel 1423 da Pietro Brancacci per decorare la cappella di famiglia nella chiesa del Carmine a Firenze. In quest’opera è rappresentato un episodio nel quale Gesù ed i suoi discepoli, per attraversare un ponte si trovarono a dover pagare un pedaggio. Non avendo denaro, Gesù disse a San Pietro di pescare un pesce dal fiume, nella bocca del quale verrà ritrovata la moneta necessaria per pagare il passaggio. L’immagine è sincrona, tutte le fasi della narrazione avvengono nello stesso momento. Rifacendosi alle sculture di Donatello, le figure sono caratterizzate da una monumentalità e serietà mai viste prima; enormi e solenni sono l’incarnazione della virtù e dignità umane proprie della filosofia rinascimentale. La scena è ambientata non in qualche luogo immaginario del passato ma, per la prima volta nella storia dell’arte fiorentina, nella campagna toscana e nelle strade di Firenze; questa rappresentazione di figure eroiche ambientate in un punto preciso del tempo e dello spazio, eleva e santifica il mondo dell’osservatore, ovvero la Firenze quattrocentesca.
La scena è illuminata dall’angolo in alto a destra, armonizzandosi in questo modo con la luce naturale della cappella. Masaccio usa le persone per creare la prospettiva, in particolare il gruppo di Gesù e degli apostoli al centro: se tutte le teste sono sulla stessa linea, ad indicare che l’osservatore si trova alla loro stessa altezza, i piedi sono collocati su piani orizzontali diversi, ciò fa variare la loro altezza e distanza. Le montagne sullo sfondo sono realisticamente rappresentate attraverso la prospettiva atmosferica: l’illusione della profondità è creata schiarendo i toni dei monti più lontani, simulando i cambiamenti causati dall’atmosfera sui colori di oggetti distanti. L’opera è rappresentazione della società contemporanea, i protagonisti della quale sono uomini fortissimi che hanno affrontato e vinto le fatiche della terra, cittadini stessi della Repubblica fiorentina, riconoscibili uno ad uno, solenni nel corpo e nell’anima rispettosi della santa disciplina del vivere.
La carriera artistica di Masaccio è durata solo sei anni e non lasciò nessuna bottega né alcun allievo, ma le sue opere hanno esercitato una fortissima influenza sugli artisti che lo hanno seguito (artisti del calibro di Leonardo da Vinci, Michelangelo e Raffaello) e sull’intera pittura Occidentale, consacrandolo immortale Maestro del colore.