Ernest Ludwig Kirchner (Aschaffenburg, 1880 – Davos, 1938)
«La tragedia della solitudine umana entro il drammatico dinamismo del mondo contemporaneo»
«La luce moderna della città, collegata al movimento delle strade, mi dà nuovi spunti. Si diffonde sul mondo una nuova bellezza, che non è riposta nella particolarità dell’oggettivo. Erudendomi attorno a questo problema così ricco, anche la libera natura di fuori ha assunto ai miei occhi un altro volto».
Kirchner si formò a Monaco e Dresda sugli esempi della cultura figurativa postimpressionista e simbolista, movimento e sintesi cromatica furono i suoi primi interessi maggiori. Ai primi del ‘900 scoprì l’arte etnica africana al Museo etnografico di Dresda. Nel 1905 costituì, insieme ad altri artisti suoi amici, il gruppo “Il Ponte”, il cui programma è un invito ad un radicale rinnovamento espressivo «Fidando nel progresso, in una nuova generazione di artisti e di amatori, convochiamo tutti i giovani e, come giovani che portano con sé il futuro, intendiamo crearci libertà di azioni e di vita, in opposizione alle vecchie forze bene assestate. Fa parte di noi chiunque renda con immediatezza e sincerità ciò che lo spinge alla creazione». Kirchner fu di questo gruppo la guida, tuttavia la sua personalità andò sempre più caratterizzandosi in una cupa e drammatica tensione interiore che, sebbene in un primo momento contrastata dalla partecipazione allo spettacolo del mondo contemporaneo, diventò sempre più determinante; «Il mio lavoro nasce dal desiderio di solitudine… ero sempre solo, e quanto più andavo tra gli uomini, tanto più sentivo la mia solitudine… Ciò dà una profonda tristezza, e questa si scioglie solo nel lavoro».
Interesse di Kirchner era quello di sottolineare il tono psicologico delle scene di vita moderna, esaltata nel suo drammatico dinamismo e vitalismo, sottolineandone i conflitti basilari: individuo- collettività, natura-città e spirito-materia.
La città divenne il caos interiore degli uomini, il luogo dello scontro fra l’individuo e la massa e fra la solitudine e la coralità; non a caso il periodo in cui Kirchner si trasferì a Berlino (metropoli che esercitava un irresistibile fascino sugli artisti dell’epoca) coincise con la sua maturità artistica. Trovarsi faccia a faccia con «tutta la magnificenza e stranezza, tutta la mostruosità e la tensione drammatica dei viali, delle stazioni, delle fabbriche e delle torri», suscitò in Kirchner la necessità di rivisitare i propri strumenti formali: le immagini subirono una deformazione verticale e le figure acquistarono una plasticità corporea.
Nel 1915 l’artista partì volontario per andare a combattere nella Grande guerra che lo lasciò profondamente segnato sia sul piano spirituale che fisico. Per riprendersi si stabilì a Davos, che divenne il suo rifugio spirituale; il contatto con la natura fece assumere nuova forza vitale alla sua opera dalla quale scomparve il tormento e l’accanimento, ed i colori divennero più splendenti e vivaci. «È un bellissimo lavoro dare realtà al sogno».
L’opera di questa settimana è “Scena di strada berlinese” del 1913, fa parte delle scene di strada che Kirchner dipinse fino al 1915 ed aventi come tema la vita notturna berlinese. In quest’opera è evidente il ricorso al primitivismo (richiamo all’arte preistorica), sia per la composizione che per i colori dove predominano il rosso ed il bleu. Nei volti, pallidi, inespressivi e fortemente allungati, affiora il richiamo alle maschere africane che in quegli anni iniziavano ad essere esposte nei musei europei. La composizione dell’opera, molto dinamica, suggerisce la frenesia della vita cittadina. Le figure sono inserite in uno sfondo geometrico ed artificiale.
La dittatura nazista, nella sua furia scellerata di ripulire i musei da quella che definiva “Arte degenerata”, sequestrò e distrusse innumerevoli lavori di Kirchner. Nel 1937, le sue opere insieme a quelle di tanti altri artisti, vennero mostrate in un’esposizione diffamatoria per poi essere distrutte. Un anno dopo Kirchner decise di togliersi la vita.
Di fronte alla tragedia nazista che distrusse tutte le sue speranze in un rinnovamento dell’arte tedesca, Kirchner si sentì privo della forza fisica necessaria per realizzare la sua missione, e quel gesto estremo gli sembrò l’unico modo di affermare il proprio rifiuto.